Made in Italy vs Ex Works

Di Giacomo Vincenti

27 Settembre 2024
9 min. di lettura


Per competere non basta la qualità del prodotto

Dal Far East fino a Vancouver, passando per il Medio Oriente ed il Sud America, i prodotti Made in Italy ed i brand che ad essi fanno da sfondo sono fra i più apprezzati e invidiati al mondo. La varietà della nostra cucina e la qualità delle nostre materie prime, i prodotti di lusso nell’ambito della moda e dell’ingegneria sono da secoli i capisaldi d’eccellenza che rappresentano il nostro territorio, divenuto punto di partenza di numerose esportazioni verso tutto il globo.

Da tempo, però, la prassi legata alla loro commercializzazione sta minacciando la nostra produzione, mettendo alla prova la tenuta logistico-organizzativa delle aziende italiane che soffrono la conseguenza dell’avanzata dei competitori esteri e della loro nuova gestione della catena di approvvigionamento.

La risposta da mettere in campo per risolvere questa delicata questione è tutta nelle nostre mani e ci si para davanti, forse stranamente, ogni qualvolta due aziende si ritrovano faccia a faccia per l’avvio della fase di negoziazione commerciale.

La resa commerciale ed il boom dell’ex works: una tendenza in aumento?

In pochi forse sanno che, per valutare il reale andamento del nostro export, non si dovrebbe solamente tener conto dell’avvenuta compravendita di un bene Made in Italy, ma varrebbe la pena prendere in considerazione anche la resa commerciale attraverso la quale tale cessione è avvenuta.

Con resa commerciale si indica genericamente l’utilizzo di un particolare tipo di clausola utilizzata per definire obblighi e responsabilità fra venditore (la parte italiana) e acquirente (il soggetto estero) nei contratti di compravendita internazionale.
Le clausole più diffuse a livello internazionale sono contenute nel manuale Incoterms®, edito dalla Camera di Commercio Internazionale con cadenza decennale.
Semplificando, ogni clausola potrebbe essere individuata come una sorta di “pacchetto preconfezionato” per cui, all’interno del manuale, viene indicata con minuzia quale parte del contratto si accolla determinati rischi e oneri legati al processo di spedizione internazionale delle merci e, quindi, chi – fra venditore e compratore – organizza un determinato tipo di attività, come ad esempio l’imballaggio delle merci, il trasporto di queste per una particolare tratta, l’espletamento delle pratiche doganali, l’eventuale copertura assicurativa e così via.
Delle 11 clausole citate nel manuale Incoterms®, l’Ex Works è la prima ad essere indicata.

Tornando al “Caso Italia” è significativo rilevare come il 2023 abbia visto circa il 75% delle imprese italiane optare per la resa chiamata “Ex Works” (o “Franco fabbrica”).
Il termine Ex Works indica che un venditore ha, per contratto, adempiuto al suo obbligo di consegna mettendo la merce a disposizione della propria controparte (il compratore) presso la propria sede o altro luogo convenuto, come ad esempio un magazzino o un locale di stoccaggio.

Ciò significa che chi compra con una resa Franco fabbrica dovrà letteralmente raggiungere la sede del venditore per prelevare le merci acquistate, organizzando e pagando il trasporto delle stesse fino alla destinazione finale, assumendo così l’onere di sbrigare tutte le formalità doganali sia in esportazione (presso la dogana e secondo le leggi di un Paese che non conosce), che in importazione.

Di fatto, le aziende italiane che da anni credono di esportare un prodotto di eccellenza nel mondo, si potrebbero accorgere di averlo solamente venduto verso il mercato di destino, senza aver espletato alcuna delle attività proprie dell’export
Per intenderci, non esportano, ma vendono ai fini dell’esportazione curata dai loro clienti.

La lotta per il mercato e un caso di studio pratico: pelletteria italiana a Shanghai o Italian-sounding products?

Ragionando in quest’ottica, poniamo il caso che una importante catena di boutique di moda presente in tutta la Cina voglia iniziare a vendere delle borse in vera pelle dal design accattivante, conscia del fatto che i brand italiani e quelli francesi siano fra i migliori sul mercato internazionale.

Dopo aver provveduto a contattare i potenziali fornitori nei paesi di partenza, l’acquirente scopre che i produttori francesi sono pronti a fornire i propri prodotti consegnati e sdoganati presso i punti vendita (secondo le previsioni della resa DDP – Delivery Duty Paid, agli antipodi rispetto all’Ex Works). Di contro, i fornitori italiani intendono cedere i beni su base Ex Works, accollando all’acquirente tutte le incombenze del caso per il viaggio delle merci dagli stabilimenti di produzione e fino ai propri negozi.

L’ufficio acquisti del compratore asiatico avrà davanti a sé due opzioni: da un lato, procedere all’acquisto delle sole borsette francesi che gli vengono recapitate senza pensieri; dall’altro, decidere di non rinunciare alla raffinatezza e l’alto expertise degli artigiani italiani, pur dovendosi organizzare tutta la spedizione e le attività accessorie, come le operazioni doganali.

Ecco che l’alta incidenza del Franco fabbrica in Italia condannerebbe il compratore cinese a mobilitarsi in solitaria affrontando la burocrazia italiana, sprecando tempo e denaro, sia per il trasporto dei prodotti dall’Italia alla Cina, sia per eventuali consulenze a livello fiscale e doganale.
Tutto ciò, senza contare il fatto che molti altri Paesi ad oggi propongono del falso Made-in Italy, (prodotti non italiani, ma con delle connotazioni che richiamano l’italianità, i cosiddetti “Italian Sounds”) con resa DDP; con il rischio che chi compra si lasci tentare dalla semplicità dell’acquisto, accontentandosi di un’imitazione a basso costo.
Come armi a disposizione nella lotta alla di concorrenza sui mercati internazionali, infatti, i venditori stranieri di prodotti che imitano lo stile italiano, hanno dalla loro la strategia di vendere la propria merce a prezzi competitivi, lusingando il compratore tramite l’offerta del puntuale servizio di delivery.
La scelta del falso Made-in Italy proposta da venditori concorrenti comporterebbe il minimo sforzo da parte del compratore cinese che vedrebbe quindi arrivare le merci acquistate direttamente presso la sua sede, con una puntuale consegna a domicilio.

Attratto dal vantaggio logistico ed economico fornitogli dal concorrente straniero, il compratore cinese sarebbe più bendisposto ad accettare il secondo scenario, anteponendo il servizio di logistica all’importanza dell’obiettivo finale, il prodotto finito.
In questo modo, malgrado la pregevole fattura degli articoli di pelletteria, è come se il venditore italiano concepisse un prodotto perfetto, una vera e propria opera d’arte e di design, ma successivamente la abbandonasse fuori dai cancelli della propria fabbrica, noncurante di consegnarla nelle mani di chi la deve usare.

Grazie a NE-O non dovrai più preoccuparti di tutte le legislazioni in vigore in ogni Paese: lo faremo noi per te!

Ottenere velocemente un codice doganale preciso e corretto ti farà risparmiare tempo e risorse. Con NE-O ottieni e gestisci i tuoi codici doganali in pochi semplici click

Provalo ora

L’ex-works: il “whatever it takes” dei compratori esteri e le possibili soluzioni per lo sviluppo del sistema Italia

A questo punto, ci sarebbe da chiedersi come mai le imprese italiane registrino un tasso così alto nell’utilizzo della resa Ex Works malgrado ciò comporti un logorante processo di mobilitazione da parte del compratore.

La risposta risiederebbe proprio nell’alta qualità e nel fascino dei prodotti italiani, che “scomoderebbero” l’acquirente estero sino a farlo arrivare qui in Italia, piuttosto che vederlo attendere le merci nel suo paese.

Tuttavia, se vale ancora la regola secondo la quale fare un buon prodotto italiano sia sufficiente per attrarre ampi bacini di mercato, è altrettanto vero che, al giorno d’oggi, il modo di fare business è cambiato molto.
Nel nostro caso, abbandonare il prodotto all’Ex Works non vuol dire semplicemente lasciare che questo venga fisicamente prelevato dal compratore direttamente nel nostro paese. Oggigiorno viviamo infatti in un mondo connesso, fortemente globalizzato e aspramente concorrenziale in cui l’importante non è solo la qualità del prodotto, ma soprattutto le modalità, le tempistiche ed i costi che determinano il suo arrivo a destino.

Il tempo per riuscire ad adattarsi al cambiamento c’è ancora, ma è bene invertire la rotta al più presto poiché l’utilizzo smodato di una resa Franco fabbrica comporterebbe alla lunga una perdita di competitività delle nostre imprese, un drastico calo di valore per il paese e l’erosione di una parte di PIL per il nostro sistema Italia, dal momento in cui l’intera organizzazione della catena logistica, vera leva di competitività di ciascuna nazione, verrà diretta da terzi che si avvarranno di infrastrutture ed operatori locali.

Raccontiamo di una perdita di competitività per l’impresa perché la qualità e il controllo della supply chain sono ormai da tempo dei fattori che definiscono il posizionamento competitivo dell’impresa.
Accenniamo alla perdita di valore per il nostro sistema Italia poiché sarà il compratore estero ad allungare i tentacoli su porti, aeroporti e sistemi ferroviari, condizionando lo sviluppo dell’industria logistica e determinando l’abbandono di importanti investimenti pubblici e privati.

Sotto questo punto di vista, gli esportatori italiani dovrebbero propendere per una strategia di gestione della logistica più integrata, completa, e customizzata per l’acquirente estero.
In più, accantonando la tanto discussa Ex Works ed optando per altri tipi di resa contrattuale che prevedano quantomeno la spedizione delle merci Made in Italy fino al paese di destinazione, le aziende italiane sarebbero in grado di contrattare tariffe di spedizione più vantaggiose, grazie allo sviluppo di relazioni ancora più forti con partner logistici e alla conoscenza approfondita dei mercati esteri.

Al di là della semplice contrattazione di acquisto, immaginiamo questo pacchetto completo come una specie di “servizio post-vendita” offerto al cliente ed inquadrato come un’estensione stessa del prodotto fisico, tramutata in una consegna a domicilio in grado di aumentare fidelizzazione e sicurezza nei suoi confronti.

Adattarsi alla nuova logistica come garanzia di successo

La perdita di grandi opportunità di crescita per le nostre esportazioni passa quindi anche per quella scarsità di input utili ad avviare il promettente motore logistico della penisola italiana, da anni inascoltato su questo tema.

Per tale motivo, il consiglio rivolto alle imprese è quello di avviare una collaborazione sempre più stretta con spedizionieri e trasportatori, al fine di garantire il successo di un’operazione commerciale, un successo che si verifica tramite l’abbandono o, quantomeno, il contenimento dell’utilizzo della resa Ex Works (utilizzabile, da manuale, solo per il mercato interno, quando non vi sia alcuna intenzione di esportare la merce), e con l’arrivo dei beni a destino, financo al piazzamento degli stessi sugli espositori dei negozi esteri.

Facendo ciò, le imprese saranno in grado di abbassare i costi per gli acquirenti, essendo in grado di negoziare tariffe di spedizione più vantaggiose; stipuleranno accordi su base duratura con diversi partner logistici, rendendo il bene nelle mani di chi compra a prezzi più bassi e vantaggiosi, senza che questi si accollino l’onere di dazi e costi di spedizione e possano godere dei prodotti Made in Italy attraverso un’esperienza di acquisto semplice ed efficace.

Giacomo Vincenti

Giacomo Vincenti

Consulente doganale presso C.A.D Ormesani Srl. Ha conseguito la laurea magistrale in “Language and Management to China” all’Università Ca’ Foscari di Venezia, con una tesi incentrata sul porto di Trieste nella nuova Via della Seta cinese. Da sempre attento al mutamento degli equilibri geopolitici e commerciali, col tempo ha maturato un forte interesse verso l’ambito doganale.